Negli ultimi tempi ho iniziato a riflettere sull'idea di integrare un software ATS (Applicant Tracking System) nei miei servizi come consulente di carriera. Viviamo in un'epoca in cui gli algoritmi sembrano governare ogni aspetto della nostra vita professionale, inclusa la ricerca del lavoro. Ma c'è una domanda che continua a insinuarsi nella mia mente: stiamo davvero ottimizzando le nostre vite per le macchine?
Per trovare una risposta, ho deciso di testare il mio CV attraverso tre diverse piattaforme di analisi ATS. Ecco i risultati:
10/100 su una piattaforma
36/100 su un'altra
67/100 sulla terza
Stesso CV, tre valutazioni completamente diverse. Questi numeri mi hanno portato a una riflessione più profonda: cosa stiamo cercando di fare, davvero, ottimizzando un documento per soddisfare un algoritmo?
La Frammentazione dell'Essere
Nel tentativo di conformarci alle regole imposte dagli ATS, non stiamo forse frammentando noi stessi? Ogni punteggio sembra raccontare una storia diversa dello stesso documento, come se la nostra identità professionale fosse costantemente riplasmata da criteri invisibili e in continua evoluzione.
Ma dov'è il confine tra ottimizzazione e alienazione? Se cambiamo continuamente il nostro CV per rincorrere una perfezione definita da un software, rischiamo di perdere l'essenza di chi siamo e ciò che realmente ci rende unici. In altre parole, stiamo sacrificando la nostra autenticità per adattarci a una narrazione preconfezionata, ridotta a un semplice insieme di parole chiave e formattazioni "accettabili".
Gli ATS ci offrono l'illusione di avere controllo sul processo di candidatura. Crediamo che, seguendo le loro linee guida e correggendo ogni minima imperfezione, riusciremo a "superare" il sistema e ottenere il lavoro che desideriamo. Ma questi punteggi così disparati dimostrano che non esiste una verità assoluta.
Ogni piattaforma ha i suoi parametri, i suoi algoritmi, le sue regole. Ma la vita professionale non è una scienza esatta, né tantomeno una formula matematica. La realtà è che non possiamo ridurre la complessità della nostra esperienza a un punteggio numerico. E forse, invece di cercare di adattare la nostra vita a un sistema, dovremmo chiederci: quanto può davvero un software catturare il nostro valore?
Umanità e Tecnologia: Un Equilibrio Precario
Non fraintendiamo: la tecnologia ha un posto importante nel mondo del lavoro moderno, specialmente in processi come il recruiting. Gli ATS aiutano a filtrare enormi quantità di dati e possono rendere più efficiente la selezione dei candidati. Tuttavia, siamo noi che dobbiamo essere vigili nel non permettere che questa efficienza tecnologica diventi disumanizzante.
In fondo, un CV è molto più di un insieme di parole e formati: è il riflesso di un percorso, di errori, di successi, di sfide superate. È un pezzo della nostra storia personale, qualcosa che nessun algoritmo sarà mai in grado di comprendere fino in fondo.
Quindi, cosa c'è dietro all'ossessione per il CV ottimizzato? La paura di non essere abbastanza, di essere respinti da un filtro digitale ancor prima di avere l'opportunità di raccontare la nostra storia. È l'idea che dobbiamo conformarci perfettamente a una macchina per avere una possibilità.
Ma la verità è che nessun punteggio può determinare il nostro valore. Sì, possiamo e dobbiamo adattare il CV per essere leggibili dagli ATS, ma non dobbiamo mai permettere che questo diventi il nostro unico scopo.
La vera sfida è trovare un equilibrio: far sì che il nostro CV superi i filtri tecnici senza perdere la nostra voce, la nostra umanità.
Forse, più che inseguire la perfezione per soddisfare una macchina, dovremmo puntare a raccontare la nostra storia in modo autentico e profondo, affinché risuoni non solo con i sistemi, ma soprattutto con le persone.
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